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Le relazioni

Consapevolezza per l’assunzione di responsabilità

di Rita Barbuto

 

   Il progresso tecnico-scientifico è un aspetto molto importante della  società in cui viviamo  e in quanto tale non può essere eliminato dalla nostra consapevolezza.

   Il termine stesso progresso presuppone l’acquisizione di benefici per l’uomo e il suo interesse per tutto ciò che è Vita, come dimostrano le biotecnologie e la biomedicina.

   Tuttavia, molte volte l’uso che ne viene fatto offende l’intelligenza, le capacità, ma soprattutto la dignità di quello stesso Uomo e di quella stessa Vita che diventano, poi, oggetti  di un discutibile progresso. 

   Quello che sta avvenendo oggi nell’ambito della ricerca scientifica sta condizionando, nel bene e nel male, la vita di tutti e di tutto. Quando si fa una ricerca non si sa che risultato darà, non si sa assolutamente dove andrà a parare. E’ evidente che quando ci troviamo di fronte ad una scoperta nuova la sua applicazione può essere buona o cattiva. Questo significa che le soluzioni dei problemi da vagliare, le direzioni da esplorare e le scelte da intraprendere devono essere oggetto d’interesse non solo degli scienziati, dei politici e delle imprese, ma anche delle persone che di quel determinato modo di operare saranno i diretti interessati,  in quanto la proliferazione degli interventi derivanti dalla ricerca scientifica possono dare origine a conseguenze imprevedibili, generanti molto spesso profonde insicurezze.

   Oggi i mezzi di informazione dedicano sempre più spazio a problematiche quali la clonazione, l’eutanasia, la fecondazione artificiale, gli embrioni soprannumerari, le cellule staminali, etc., problematiche che spesso conquistano le prime pagine dei quotidiani, i titoli di testa dei TG, gli approfondimenti dei periodici. Ma le informazioni che oggi riceviamo relativamente a ciò che avviene nell’ambito scientifico sono banali, nel senso che ci passano sopra come una nuvola senza pioggia. Questo modo di fare informazione fa sì che le persone non siano veramente consapevoli di ciò che sta succedendo. E se non si è consapevoli non ci si pone  interrogativi esistenziali ed etici :  di conseguenza non c’è mai assunzione di responsabilità di fronte a delle scelte da intraprendere.

   Uno dei compiti della bioetica è quello di garantire un’informazione che non sia diffusa ed organizzata solo dai poteri forti (scienziati, politici, economisti), ma da tutte le persone che sono coinvolte e travolte, nel bene e nel male, nel processo tecnico-scientifico. Quindi la bioetica deve essere il motore democratico per produrre consapevolezza. La sua funzione è quella di definire il perché, il come e il quando delle variabili di una determinata manipolazione, di una determinata scoperta scientifica e della sua applicazione. In sostanza si deve fare carico dell’alfabetizzazione scientifica perché le questioni scientifiche influenzano in modo profondo e significativo la vita reale. L’influenza di cui parlo non avviene solo sotto forma di invenzioni pratiche come ad esempio l’ingegneria genetica, ma anche nella forma di un pensiero pervasivo che influenza l’inconscio delle persone, portandole ad agire acriticamente e ad intervenire sul mondo a scapito dell’umanità stessa e di ogni altra forma di vita sul pianeta.

   La bioetica deve mettere in luce come una parte del sapere scientifico viene utilizzato, spesso inconsapevolmente, per intimidire, controllare, mistificare, sfruttare ed opprimere. Deve mostrare come la visione scientifica riduzionistica sta distruggendo la terra e sta portando  povertà e sofferenza a un gran numero di persone.

   Noi persone con disabilità vogliamo essere soggetti attivi nel produrre informazione su ogni cosa relativa alla ricerca scientifica che ci riguarda da vicino, su quella ricerca fatta a nostro nome. Vogliamo essere consultati e vogliamo esprimere il nostro pensiero e il nostro sentire su tutto ciò che riguarda la vita, dalla nascita alla morte.

   Le persone con disabilità sono da sempre considerati malati.  Se un corpo o una sua parte sono malati tutta la persona è considerata patologica, “cattiva” e quindi  da punire, da emarginare perché priva di senso. La vita di una persona disabile è ridotta al suo aspetto organico e la complessità della sua natura biologica - psicologica - sociale è  negata  dalla ricerca genetica. Quello che noi vogliamo trasmettere è che esistere impone la perpetua interazione e integrazione del nascere, vivere, morire così come della serenità, malattia, dolore, gioia etc. Esperienze quotidiane presenti allo stesso modo in un medesimo istante di ogni esistenza, indipendentemente dalla presenza o meno di una disabilità .

   E’ pertanto molto importante per noi diventare parte integrante nei processi di consulenza genetica dove la nostra esperienza di persone portatrici di “anomalie genetiche” chiama in causa il nostro essere unico più profondo per dare voce ad una volontà di esistere e di esperire la Vita senza nessun tipo di riserva.  

   In un clima storico come quello in cui ci troviamo e nelle condizioni di disabilità con cui ci confrontiamo attimo dopo attimo, ci vogliamo fare promotori  di questa visione dell’essere persone e dell’esistere, di un vissuto improntato su modi, ritmi, linguaggi, caratterizzati dal continuo coinvolgente gioco di possibili interazioni reciproche tra diversità e persone, nei vari contesti socio-ambientali in cui tali parti si combinano E' una proposta di assunzione di responsabilità improrogabile nella sua inevitabilità.. Crediamo che la disabilità, come da molti di noi sperimentato, sia anche un processo-percorso esistenziale che consente il superamento dell'angoscia di vivere ogni forma di diversità e, soprattutto, di condividerle. La disabilità di una persona è una componente che  deve vedersi quale parte di un continuum tra condizioni materiali d'esistenza ed emozioni . In un tale contesto la disabilità può essere uno strumento di riconoscimento di imprescindibilità dell'alterità e quindi un agente di cambiamento e di crisi dello status quo dei rapporti sociali staticamente previsti e normati.

   Questo è quanto la rivendicazione n. 2 della “Dichiarazione di Orientamento su  Bioetica e Diritti Umani” vuole sottolineare. 

   Siamo consapevoli che questa visione della disabilità comporta la messa in crisi della visione dicotomica del soggetto scientifico vero – falso, positivo – negativo, sano – malato etc., su cui poggia il paradigma riduzionista di uno scientismo banalizzante, divulgato e di grande effetto, tanto immediato quanto fuorviante ed illusorio che ha prodotto la chiusura di sogni e bisogni nella strettoia ipocritamente protettiva del sistema di tutela sul quale si è basato, finora, il funzionamento delle strutture di salute pubblica e privata. Ciò che noi vogliamo è di far comprendere che ogni essere umano nella sua unicità ed originalità ha una sua dignità che deve essere rispettata e che è insita nella diversità di ciascuno.

 

                                  

 

 

La bioetica e i diritti umani delle persone disabili

di Giampiero Griffo

 

   Questo seminario è un momento di arrivo e di partenza. Di arrivo di un percorso di riflessione ed elaborazione sviluppato da DPI-Italia sulla spinta delle iniziative di DPI-Europa: un seminario internazionale su Bioetica e disabilità organizzato nel Regno Unito e la Dichiarazione europea su genetica e disabilità della fine dell’anno scorso. Disabled Peoples’ International (DPI) è un’organizzazione non governativa che tutela i diritti umani delle persone con disabilità. DPI rappresenta tutte le disabilità ed è presente in 125 paesi del mondo, in Europa ha 31 paesi aderenti e altrettante rappresentazioni di assemblee nazionali di organizzazioni di persone con disabilità.

   Da qualche anno alcune associazioni di persone disabili e loro familiari sono fortemente preoccupate per i rischi di ulteriori discriminazioni e violazioni di diritti umani che pratiche biomediche veicolano. Ha cominciato nel 1995 Inclusion International, la Federazione mondiale delle famiglie di persone con ritardo mentale e difficoltà di apprendimento, occupandosi della Convenzione sul genoma umano del Comitato internazionale sulla bioetica dell’Unesco, ha continuato nel 2000 Disabled Peoples’ International Regione europea, con l’organizzazione di un seminario mondiale sui diritti umani e la bioetica e la definizione di una Dichiarazione europea elaborata direttamente dalle persone disabili.

   In Italia questo è il primo seminario pubblico che affronta il tema della bioetica e della disabilità. La scelta di tenere questo seminario in una regione del sud è la testimonianza di una vitalità delle associazioni calabre, prima fra tutte l’AGEDI, e del loro saper affrontare anche le tematiche di maggiore attualità del presente e del futuro. Dall’altra di una attenzione di DPI alle aree più svantaggiate, dove più pesanti sono le violazioni di diritti umani.

   Bioetica è una parola composta che mette insieme due concetti: vita ed etica. Concetti impegnativi, che sono alla base della costruzione delle società umane. Negli ultimi anni, purtroppo, dobbiamo rilevare una riduzione del significato ed importanza della vita. Sempre più sembra che essa possa essere valutata in termini di valutazione economica e monetaria. Se prima salvare una vita era un compito ovvio, oggi già si inizia a domandarsi quanto costa e se vale la pena. A maggior ragione se questa vita, a torto o a ragione, sia considerata inferiore. Come spesso avviene per le persone disabili. Dall’altro lato costatiamo tutti i giorni uno smarrimento, a volte angoscioso, dei principi di comportamento etico, che solo pochi anni fa sembravano ovvi ed evidenti. Clonazione di animali, uteri affitati, vendita di organi, etc. sono alcuni esempi di questa improvvisa mancanza di punti di riferimento. Si è accresciuto in maniera esponenziale il potere della scienza e della ricerca scientifica in tempi così rapidi che non ha consentito alla società una adeguata riflessione sulle conseguenze etiche di queste conquiste. Fra qualche anno arriveremo ai supermarket di organi, alla scelta delle caratteristiche fisiche dei figli sulla base di mode o gusti estetici, alla determinazione genetica delle caratteristiche della vita, senza saper se questo è legittimo, rispettoso dei diritti umani e naturali, utile a noi ed ai nostri figli.

   La visione culturale e sociale che la società ha costruito sulle persone disabili è gravata da  pregiudizi e discriminazioneoni. Siamo passati da una visione di sventurati a cui assegnare interventi caritativi, a quello di persone malate verso cui indirizzare interventi di accoglienza ed assistenza, a quello di cittadini malati a cui dedicare risorse aggiuntive in luoghi speciali per separarli dalla società, a quello di cittadini da integrare nella società attraverso percorsi di sostegno sociale. Oggi il movimento delle persone disabili rivendica il diritto all’inclusione sociale, per scrivere insieme le regole della società senza escludere nessuno e valorizzare la ricchezza della diversità umana e della reciprocità sociale.

   Uno strumento culturale essenziale per comprendere il ruolo ed il significato che le società (e quindi il senso comune) assegnano alla vita ed alla presenza sociale delle persone disabili è quello che viene definito il modello medico della disabilità. Tale visione, costruita nei secoli passati sulla base di una percezione negativa delle capacità delle persone disabili, mette in evidenza la loro particolare condizione, equiparandola ad uno stato permanente di malattia, e dalla valutazione prevalentemente sanitaria di questa condizione fa derivare gli interventi conseguenti. Tale visione “medica” (perché quasi sempre è svolta da medici e figure professionali sanitarie) quindi privilegia interventi di cura, vede la riabilitazione dal punto di vista quasi esclusivamente sanitario tesa ad obiettivi di guarigione spesso improbabili, individua soluzioni istituzionalizzanti e separate (basate sulla logica del “prima lo curiamo poi lo inseriamo nella società”), circonda le persone con disabilità di operatori tecnici esperti (spesso sanitari o parasanitari) a cui affidare la gran parte delle scelte della loro vita, attribuisce alla condizione psico-fisica ed allo stato di “salute” delle persone con disabilità le difficoltà di integrazione sociale e la mancanza di pari opportunità. Chi avesse avuto la sorte di vistare alcuni dei servizi basati su visioni mediche (ateliers protegés in Francia, centri diurni in Olanda, microstrutture a degenza mista in Finlandia, scuole speciali in Germania, solo per citarne alcune) resterebbe shockato dalla condizione di mortificazione delle risorse ed abilità individuali, dalla limitazione di diritti umani e civili, dalla cancellazione della vita sociale ordinaria che le persone con disabilità sono costrette a subire in tutto il mondo. Questa “visione medica” è stata violentemente rifiutata da persone disabili più consapevoli che hanno cercato di rimettere con i piedi per terra la condizione reale delle persone con disabilità, facendo emergere che le discriminazioni non derivano dalla nostra condizione psico-fisica, bensì dalla non inclusione che la società ha realizzato rispetto ai nostri bisogni particolari.

   Il modello medico non attiene solo a come ci vede e valuta la società (ed il senso comune), ma ha a che vedere anche con le soluzioni sociali offerte e con la relazione che si instaura tra operatore sanitario (e spesso sociale) ed utente (o paziente, o cliente). L’impatto che questa visione produce sulla vita delle persone disabili e delle loro famiglie può giustamente definirsi una continua violazione di diritti umani ed ha conseguenze forti su molte tematiche collegate alla bioetica. Purtroppo questo modello medico è l’approccio culturale prevalente alla nostra condizione e non c’è da meravigliarsi che influenzi anche gli scienziati. Infatti gli scienziati sono grandi esperti della loro materia, ma sul resto le loro opinioni spesso sono quelle del senso comune. Perciò la visione che gli scienziati hanno delle persone disabili è influenzata dagli stessi pregiudizi che abbiamo analizzato prima.

   Le riflessioni di DPI in sintesi partono dalla considerazione che le straordinarie potenzialità della scienza medica e biomedica si incardinano in società in cui convivono valori sociali (ed economici) non legati alla qualità della vita delle persone e pregiudizi e stereotipi negativi sulle persone disabili. Questo produce pratiche mediche e sociali e visioni culturali che violano i diritti umani delle persone disabili. Facciamo alcuni esempi.

   In molti paesi europei è stata introdotta per legge l’interruzione volontaria della gravidanza. Nella legislazione italiana, per es., è previsto l’aborto terapeutico in caso di “processi patologici, tra cui quelli relativi a rilevanti anomalie o malformazioni del nascituro, che determinino un grave pericolo per la salute fisica o psichica della donna” (art. 6 della Legge 22 maggio 1978, n. 194, Norme per la tutela sociale della maternità e sull'interruzione volontaria della gravidanza). Lo scopo di questa norma è consentire l’aborto oltre il 90 giorno di gravidanza. In realtà l’informazione ad una coppia sul significato di crescere un bambino con una particolare condizione (per esempio una delle tipologie più benigne di distrofia) viene fatto solo da medici, senza una reale esperienza della disabilità dal punto di vista sociale. La coppia sceglie sulla base di un’informazione completa o riceve solo l’informazione che il bambino “non sarà normale”? In realtà i medici hanno gli stessi pregiudizi sulle persone disabili del cittadino comune, ed attribuiscono alle persone in particolari condizioni una qualità della vita scadente. Non sarebbe opportuno che l’informazione alla coppia venisse data dalle persone disabili stesse o dai loro familiari, cioè da chi ha una reale esperienza e cultura della disabilità? In questo modo la scelta della coppia non sarebbe influenzata da una visione spesso pregiudiziale, superficiale e distorta.

   In realtà la qualità della vita delle persone disabili non deriva da una condizione soggettiva delle persone bensì dal livello di inclusione della società che li accoglie e dalle risorse che mette in campo (educazione, ausilii, servizi, etc.). Infatti nella gran parte dei casi le persone disabili sono ricevitori di handicap, da parte di società che non pensano che esistano viaggiatori in sedia a rotelle, lavoratori non-vedenti, studenti non-udenti, etc. Inoltre nel momento in cui una persona disabile nasce la sua vita avrà la qualità che gli costruisce la sua famiglia, l’ambiente di vita, le differenti istituzioni responsabili ad intervenire e, quando sarà adulto, la stessa persona disabile. In sostanza quello che avviene per tutte le persone. Cosa fa attribuire una qualità della vita più scadente alle persone disabili se non un pregiudizio? La persona con disabilità, potrà vivere limitazioni più o meno grandi alla sua libertà di movimento, discriminazioni più o meno pesanti rispetto alle regole sociali ed istituzionali che lo includono o lo escludono, ma la qualità della sua vita non sarà automaticamente inferiore di un altro individuo. 

   Un altro esempio è quello della terapia genetica. La scienza biomedica sostiene di poter eliminare nei prossimi anni tutte le malattie causate da ereditarietà. Attraverso la manipolazione dei componenti del genoma umano si potranno eliminare tutti i geni trasmissori di malattie. Questa tecnica non supportata da un adeguato controllo sociale ed etico, potrebbe portare all’eliminazione di tutte le diversità ritenute socialmente indesiderabili (come per es. il colore della pelle, l’orientamento sessuale, etc.), alla promozione di tutte le qualità ritenute di moda (per es. gli occhi azzurri, i capelli biondi, etc.), alla soppressione di tutti gli esseri con configurazioni genetiche ritenute dannose per la società (se si scoprisse un gene della propensione alla distrazione e si collegasse questo al rischio di incidenti stradali, sarebbe legittimo abortire o manipolare il menoma?). In questo campo quello che spaventa è l’utilizzo di principi di standardizzazione nel campo della vita o, detto in altro modo, la progressiva cancellazione delle diversità, che in natura sono la qualità essenziale della capacità della terra di affrontare e risolvere il continuo cambiamento delle condizioni vitali. Il rischio delle nuove pratiche eugenetiche è reale per tutti. Laddove si annida il pregiudizio, razziale, di sesso, fisico o culturale, là si annida la potenzialità di sconvolgenti pulizie etniche legalmente riconosciute, di manipolazioni genetiche indirizzate alla purezza della razza, di controlli biologici che violano identità, di creazioni genetiche incontrollabili degni dell’apprendista stregone. Inoltre altro elemento importante che su scelte etiche che decidono della vita delle persone decidono quasi sempre o tecnici (genetisti, medici, etc.) o religiosi. Come se l’etica non avesse connotati sociali, non riguardasse le persone concrete, ma fosse una questione tecnica o di principi religiosi. Nel momento in cui una famiglia sa che potrebbe avere un bambino con malformazioni o malattie genetiche, sulla base di quali informazioni decide? E’ sufficiente il parere di un medico o di un religioso per fornirgli le informazioni essenziali per decidere? Non sarebbe più corretto che di disabilità parlino chi ha una esperienza reale e vissuta come genitore o persona con disabilità? E che pensano per esempio le persone affette dalla distrofia muscolare rispetto all’idea che qualcuno decida della loro esistenza? Se fosse stato possibile farlo all’epoca un Beheetoven sordo, un Van Gogh pazzo, un Oscar Wilde omosessuale, un Dylan Thomas alcolizzato non sarebbero esistiti? Si può estrapolare una caratteristica ritenuta negativa per decidere sulla vita delle persone? Hawkins, il grande astronomo in sedia a rotelle, sarebbe tale senza la sua minorazione? E sarebbe stato egualmente un grande pittore Toulouse-Lautrec senza la malformazione che lo ha accompagnato durante la sua vita?

   In realtà la visione che si sta imponendo ormai si indirizza verso un’idea inesistente in natura, quella della perfezione. Sempre più nei mass-media la malattia, il dolore, il confronto con le diversità, le semplici complicazioni del vissuto quotidiano vengono lette come imperfezioni da eliminare, negatività fastidiose da sopprimere, difetti di fabbrica da aggiustare. In un mondo dove la virtualità può cancellare d’un colpo solo tutte queste cose, ricostruendo il mondo senza alcun “difetto”, si è perso di vista che in natura la perfezione è l’equilibrio che permette l’esistenza della vita, in qualsiasi forma e in qualsiasi maniera. Non c’è una perfezione assoluta, bensì un equilibrio relativo in cui quello che consente alla vita di svilupparsi è l’adattamento. E quante più diversità nascono tante più soluzioni adattative nuove ed originali si producono. La natura poi è un tutt’unico in cui le eventuali singole perfezioni (ammesso che esistano) giocano con le interrelazioni che ogni essere vive. Non siamo monadi singole, siamo esseri interdipendenti che giochiamo le nostre risorse ed abilità in reciprocità. Da qui la riflessione: a che serve la perfezione applicata agli esseri umani ed alla natura? Non è un processo artificiale, prodotto dalla “cultura” della merce e del mercato?

   L’anno scorso DPI-Europa ha presentato la Dichiarazione europea sulla bioetica dal punto di vista delle persone con disabilità. E’ stato un momento di confronto pubblico importante per ricordare che in molti dibattiti sulle scelte bioetiche si parla di noi, e che è quindi essenziale che nelle scelte sulla nostra vita siamo noi i principali decisori. Se si parla di aborto terapeutico in caso di malformazione, di eutanasia per alleviare il dolore di chi soffre, di impianti cocleari per i non-udenti, dobbiamo esseere noi a decidere sulla nostra vita, e non il giudizio (e spesso il pregiudizio) di “esperti”. Gli esperti sulla nostra vita siamo noi. Da qui la necessità di entrare da protagonisti nel dibattito sull’attuale visione culturale della scienza bioetica, dicendo la nostra opinione e tutelando i nostri diritti a voce alta e ferma.

   La Dichiarazione ha posto in evidenza 10 rivendicazioni che vogliamo che coloro che si occupano di bioetica e biomedicina tengano in debito conto. Partendo dal riconoscimento positivo dei “progressi nella genetica umana”, l’accento è stato posto sulla “definizione di qualità della vita basata su convinzioni mediche, che suscita seri problemi etici, non solo per le persone disabili, e che tali problemi debbano essere considerati nel quadro della diversità, essenziale e perenne, dell’umanità”. A conclusione di una documentata serie di discriminazioni e violazioni dei diritti umani, le persone con disabilità chiedono che :

 

   1.       l’uso delle nuove scoperte della genetica umana, della tecnica e della pratica  sia rigidamente regolamentato per evitare discriminazioni e proteggere pienamente, ed in ogni circostanza, i Diritti Umani delle persone con disabilità,

 

   2.     la consulenza genetica sia “non orientata”, basata sui diritti, ampiamente e liberamente disponibile e rifletta la reale esperienza della disabilità,

 

   3.     i genitori non subiscano pressioni, formalmente o informalmente, per sottoporsi a test prenatali o ad interruzioni terapeutiche di gravidanza,

 

   4.     tutti i bambini e bambine siano benvenuti al mondo e forniti degli appropriati livelli di sostegno sociale, pratico e finanziario,

 

   5.     la diversità/differenza umana sia valorizzata e non eliminata da discriminatorie valutazioni sulla qualità della vita che possono condurre all’eutanasia, all’infanticidio e alla morte per la mancanza di interventi,

 

   6.     le organizzazioni delle persone con disabilità siano incluse in tutti quei comitati consultivi e regolatori che trattano della nuova genetica umana,

 

   7.     la legislazione sia emendata per porre fine alla discriminazione fondata sulla disabilità quale eccezionale terreno legale per l’aborto,

 

   8.     vi sia un programma globale di formazione per tutti gli operatori della sanità, fondato su un “approccio  paritario” della disabilità,

 

   9.     non  sia concesso alcun brevetto sul materiale genetico, poiché il genoma umano è patrimonio comune dell’umanità,

 

   10.  non siano violati, con interventi medici, i diritti di quelle persone con disabilità che non sono in grado di esprimere consenso.

 

   Per concludere, questo seminario è una prima esperienza di dibattito pubblico con operatori del settore, persone disabili e loro genitori, istituzioni pubbliche e private, per affrontare un campo delicatissimo in cui si gioca il futuro della società. Affrontare le tematiche legate alla bioetica significa interrogarsi sul prossimo futuro, su quali scenari etici si possono prefigurare ed in che maniera si corre il rischio di ledere i diritti umani di tutte le persone. Le società del nuovo millennio hanno bisogno di nuovi strumenti per tutelare la dignità della persona, l’ambiente naturale e le comunità umane. Ci auguriamo che il nostro stimolo a riflettere da un punto di vista particolare solleciti tutti a confrontarsi con continuità sul prossimo futuro delle scienze della vita e dell’etica sociale.