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Reggio Calabria 28/09/02
L’ICF:
l’importanza del nome che attribuiamo alle cose. Il vocabolario che utilizziamo per definire quello che ci circonda in grossa parte definisce il nostro modo di pensare, spiega “tra le righe” qual è il nostro atteggiamento nei confronti delle cose. Parlare, scegliere in che modo esplicitare il nostro pensiero, quindi, è un atto di responsabilità, è una scelta consapevole non solo sul piano formale ma soprattutto sul piano contenutistico. Ancor
più questo appare vero se prendiamo in considerazione non la conversazione
quotidiana tra due o più persone, ma le scelte fatte a livello più ampio da
un popolo, da più popoli, circa il modo di descrivere uno stato di salute e/o
di malattia, di benessere legato ad un alta qualità di vita e/o di disagio
implicito nel limite connesso, con una scarsa potenzialità ad esprimersi in
quanto persona. E’ questo il senso profondo del processo di cambiamento culturale indotto implicitamente dalla scelta classificatoria dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, che si sforza di costruire un linguaggio comune e condiviso che tenga conto della complessità che ogni individuo esprime attraverso il proprio percorso di vita, attraverso il proprio esistere. Già
tanti anni or sono, nel richiamare l’attenzione sugli aspetti relativi al
disagio che un ambiente “non pronto”, non a misura di tutti, determinava
nell’evoluzione di esistenze che per condizioni psico-fisiche si stagliavano
“fuori”(fuori dalla portata di un autobus con gli scalini, di un
marciapiede senza scivolo, di un mondo senza diritti) si riscontrava in
embrione questa necessità di sottolineare quale fosse la vera origine del
disagio. Adesso
la sfida è di portata molto più ampia e “costringe” ad una rilettura
profonda e continua del modo in cui un sistema medico e sociale decide di
approcciarsi alla persona. Per
riuscire a codificare le informazioni attraverso la nuova classificazione
internazionale delle disabilità, attraverso l’ICF (Classificazione
Internazionale del Funzionamento, della Disabilità e della Salute) per
intenderci, l’unico protagonismo è del singolo individuo e della sua
personalissima interpretazione del proprio stato di salute e della propria
esistenza in modo complessivo. L’ICF
consente di cogliere, descrivere e classificare ciò che può
verificarsi in associazione ad una condizione di salute, cioè le
“compromissioni” della persona ed il suo “funzionamento”, tutte le
funzioni corporee, le attività e la partecipazione. Non è una
classificazione che riguarda soltanto le condizioni di persone affette da
particolari anomalie fisiche o mentali, ma e’ applicabile a qualsiasi
persona che si trovi in qualunque condizione di salute, dove vi sia la
necessità di valutarne lo stato a livello corporeo, personale o sociale. In
una sola frase è sintetizzata con chiarezza la portata innovativa del sistema
appena implementato: ·
l’ICF è applicabile a tutti, quindi non ci sono più persone
SPECIALI che hanno bisogno di trattamenti SPECIALI; ·
l’ICF valuta non solo lo stato a livello corporeo, ma considera parte
integrante della propria classificazione le componenti PERSONALE e SOCIALE. Il
presupposto teorico di fondo su cui si basa tale approccio è quindi che
due persone con la stessa malattia possono avere livelli diversi di
funzionamento e due persone con lo stesso livello di funzionamento non hanno
necessariamente la stessa condizione di salute. Il
primo vantaggio culturale offerto da un tale presupposto è il riconoscimento
che nessuna diagnosi medica, nessuna definizione psico-sociale, nessuna
etichetta classificatoria può di per sé darmi delle reali informazioni su
una persona. Il
secondo vantaggio è relativo all’utilizzazione di tale sistema come
strumento di lavoro: lo stato di funzionamento è codificato in modo orientato
alla possibilità di definire degli interventi. L’introduzione, infatti, di
un’attenzione mirata alla rilevazione del grado di attività e
partecipazione alla vita quotidiana della persona disabile, dovrebbe essere in
grado di far arrivare, di conseguenza, ad una determinazione integrata e
comprensiva delle tipologie e degli ambiti di intervento nel progetto di vita. L’O.M.S.
ci ha messo nelle condizioni di poter operare professionalmente, fin dal
momento della diagnosi, nell’ottica del pieno rispetto dell’altro, della
sua individualità, dei suoi bisogni non standardizzabili. Siamo chiamati a
guardare la realtà nella sua complessità liberandoci dalla garanzia della
prevedibilità dell’intervento funzionale ad una certa “etichetta” e
rischiando in prima persona scommesse nuove e che partano da un profondo
ascolto di cosa per l’altro sia realmente significativo. Una
bella sfida da cogliere al volo!
Dott.ssa Roberta Racinaro Consulente
A.GE.DI.
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